Il primo maggio

In foto, una MOC di Stefano Bartolini, alias bulow_brick_commander, mostra un corteo per le vie di una città, davanti a una fabbrica, con tutti gli elementi tipici del Primo maggio. L’intergenerazionalità dei partecipanti, il lancio di slogan, le bandiere, i volantinaggi, la distribuzione dei garofani da parte delle donne.

Nel 1818 in Gran Bretagna Robert Owen lanciava la famosa campagna dei tre 8: otto ore di lavoro, otto ore di riposo, otto ore di tempo libero. L’obbiettivo era fissare un limite alla giornata lavorativa, allora senza alcun limite orario e che si allungava nelle fabbriche fino a 14, 16 o anche più ore. Non si doveva lavorare più di otto ore al giorno, per lasciare ai lavoratori e alle lavoratrici il tempo di vivere la propria vita. Una rivendicazione che in Italia dette vita decenni dopo alla canzone di mobilitazione popolare Se otto ore vi sembran poche.

Sulle rotte dell’Impero britannico e dei suoi esuli interni nel 1856 l’idea approdò in Australia, dove quell’anno si sindacati, le Trade Unions, organizzarono lo sciopero per le 8 ore. E sempre sulle navi le 8 ore giunsero negli USA. I migranti tedeschi di Chicago ne fecero un punto rivendicativo centrale.

Il Primo maggio 1867 a Chicago, Illinois, entrava in vigore la legge per le 8 ore dei lavoratori pubblici, mentre tutti gli altri scioperarono per ottenerle a loro volta. Ancora venti anni dopo, nel 1886, il Primo maggio fu la data in cui si svolse uno sciopero generale americano per le 8 ore. A Chicago lo sciopero divenne ad oltranza. Davanti alla fabbrica McCromick il 3 maggio la polizia, insieme alle guardie private, sparò sul comizio dei lavoratori. A terra rimasero sei morti. Il giorno successivo, ad Haymarket square, si svolse una manifestazione di protesta, durante la quale si sparò di nuovi sui dimostranti, e quattro di loro trovarono la morte in questa occasione. I dirigenti sindacalisti anarchici dello sciopero vennero arrestati e condannati a morte per impiccagione: Albert Parson, August Spies, Adolf Fischer, George Engel. Per altri due, Samuel Fielden e Michael Schwab, la pena di morte fu commutata in ergastolo.La repressione non piego il movimento dei lavoratori americano, che per il Primo maggio 1890 proclamò una nuova giornata di mobilitazione per le 8 ore.

Frattanto, sull’altra sponda dell’Atlantico, in Europa, e più precisamente a Parigi, il congresso di fondazione della Seconda internazionale socialista fece propria la lotta delle 8 ore e nel 1889 proclamò il Primo maggio giornata internazionale dei lavoratori e momento mondiale di lotta. La mobilitazione era prevista per l’anno successivo, il 1890. Il successo globale dell’iniziativa fu enorme, anche se in Italia le manifestazioni pubbliche furono vietate. Sull’onda del risultato, l’Internazionale decise di rendere permanente l’appuntamento del Primo maggio. Nasceva così la festa dei lavoratori. Ovunque la richiesta erano le 8 ore.

In Italia le manifestazioni pubbliche furono vietate fino al 1901. Il Primo maggio veniva allora celebrato al chiuso, nei circoli, nelle Camere del lavoro, di nascosto nelle campagne. Col tempo, alle 8 ore si aggiunsero altre rivendicazioni, come il pane e la libertà, da inizio ‘900 anche il suffragio universale e dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale la pace. Nel 1923 il fascismo, appena salito al potere dopo un biennio di violenze dirette principalmente contro le organizzazioni dei lavoratori, proibì nuovamente la celebrazione del Primo maggio, un divieto che questa volta fu esteso a tutti gli ambiti. Per venti anni il Primo maggio fu praticato in clandestinità, con atti di insubordinazione, esponendo garofani rossi o indossando una cravatta rossa, oppure fingendo di andare a fare una scampagnata, o ancora affiggendo di notte manifestini antifascisti o attaccando fazzoletti rossi ai lampioni. Mentre il Regime fissava la data per la propria festa del lavoro al 21 aprile, per i Natali di Roma, il Primo maggio diventava anche una giornata antifascista.

La sua rinascita in grande stile in Italia data ai giorni immediatamente successivi alla Liberazione, quando il Primo maggio del 1945 nella Milano appena liberata si svolse un’enorme manifestazione promossa dal CLNAI, dove furono rivendicati grandi cambiamenti politici e democratici e la fine della monarchia. Parallelamente, a Roma lo stesso giorno la rinata CGIL unitaria (cosiddetta perché comprensiva delle componenti cattoliche, comuniste, socialiste, azioniste e repubblicane) organizzò una grande manifestazione al cui termine il Segretario nazionale del sindacato, Giuseppe Di Vittorio, chiese cambiamenti politici e istituzionali ma anche sociali. Il popolo lavoratore italiano voleva uscire dalla povertà.

In Italia fin dall’immediato secondo dopoguerra le organizzazioni sindacali si adoprarono per rimettere in campo la celebrazione della festa dei lavoratori, divenuto con la legge n. 260 del 27 maggio 1949 Festa della Repubblica. Con la Repubblica il Primo maggio guadagnava finalmente un posto legittimo nel calendario civile, sancito anche dal nuovo carattere istituzionale che assumeva. Ma la giornata non rinacque solo come momento politico e come data identificativa delle istituzioni della Repubblica fondata sul lavoro. Il Primo maggio assunse significati e rappresentazioni assai più ampie e partecipate, la giornata dell’orgoglio del lavoro, in cui ci si metteva il vestito buono per scendere in piazza. Da allora in poi, tutti gli anni una volta all’anno, il Primo maggio divenne lo specchio della società italiana.

La festa del lavoro, da giornata di lotta, di astensione del lavoro e di mobilitazioni, allargò il suo carattere, riprendendo uno sviluppo duplice, giornata di lotta e di festa, che aveva già iniziato ad avere prima del fascismo. Iniziarono a prendere forma momenti di socialità popolare e manifestazioni capaci di mettere in scena la stessa “cultura” del lavoro, con eventi sportivi e momenti ludici come musiche, balli, pranzi, merende e cene, recuperando la tradizione delle sagre e feste di paese, da cui trasse forza e ramificazione sul territorio. Col tempo si sviluppò una ritualità del Primo maggio, un suo divenire “tradizione”, attraverso un percorso di adattamento e mutamento continuo che ci ha lasciato in eredità un complesso di consuetudini, come la distribuzione dei garofani rossi, di solito fatta dalle donne, che si è radicata nella cultura antropologica di larghe fasce sociali. E poi i cortei, dove si sviluppò l’abitudine di far sfilare i simboli del lavoro nelle campagne, come i trattori, e della produzione degli operai (camion, autobus, macchine ecc.). Il lavoro mostrava con orgoglio la sua modernità. A tutto questo si aggiunsero elementi di recupero delle tradizioni carnevalesche, con manufatti di arte popolare portati in corteo.

Dopo l’esplosione del biennio ’68-’69, negli anni Settanta nuove figure sociali e nuovi attori collettivi si vennero ad aggiungere, i movimenti studenteschi, i gruppi della nuova sinistra, il movimento femminista. Nel decennio delle grandi passioni i cortei, che per i primi 25 anni della Repubblica erano stati organizzati soprattutto dalla CGIL e dai partiti socialista e comunista, tornarono a essere “unitari” a partire dal 1971-’72, con la partecipazione delle cattoliche ACLI, e poi di CISL e UIL.

Il carattere di festa popolare non è mai andato perso, e si è arricchito nel tempo di nuovi elementi, come le feste per i bambini negli anni ’80. Dagli anni ’90 un nuovo evento nazionale ne ha arricchito il panorama, il grande concerto organizzato dal CGIL-CISL e UIL a Roma in piazza San Giovanni.

Con i primi due decenni del XXI secolo al Primo maggio si è affiancata sempre di più una popolarizzazione del 25 aprile, che ne recupera gli aspetti sociali e festivi, intercettando una grande partecipazione. Alla festa del lavoro continuano a venire affidati messaggi politici e rivendicazioni, a partire dalla crisi economica del 2008 sempre più declinati sulla difesa dei diritti e dell’occupazione e contro la precarietà fino a questi ultimi due primi maggi in emergenza pandemica, che pur non potendo praticare le piazze non rinunciano a porre i temi della salute e della sicurezza sul lavoro e del lavoro in vista dell’incerto futuro ed a lasciare i segni, seppur simbolici, della festa sul territorio italiano.

Per approfondire

Risorse online

Mostra multimediale Il nostro maggio

Stefano Bartolini, Lavoro, fiori e lambrette, articolo per Toscana Novecento

Libri

Francesco Renda, Storia del Primo maggio. Dalle origini ai giorni nostri

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