
Nelle foto, lavoratori della terra durante degli scioperi nelle campagne. Si riconoscono una vigna d’uva, un piccolo pozzo bianco, dei giovani ulivi al bordo della strada sterrata e un albero di mele. Vivendo sui poderi e non in ambiente urbano, le famiglie mezzadrili quando scioperavano davano vita a “cortei” nelle campagne, a volte diretti verso la casa del fattore, o la villa padronale, altre volte verso la città o il paese di riferimento. In questo occasioni poteva capitare che partecipasse l’intera famiglia all’agitazione, spesso portandosi dietro anche il bestiame. Si poteva assistere quindi a sfilate di donne, uomini e bambini accompagnati dagli animali (cani, bovi, asini, cavalli). Nelle foto si riconosceranno dapprima le bandiere bianche delle leghe cattoliche, per gli scioperi del 1919, e poi quelle rosse del movimento socialista, per le lotte del 1920. Abbiamo mantenuto la stessa ambientazione per dare l’idea di come queste due ondate di agitazioni abbiamo interessato gli stessi territori e spesso le stesse persone.
Il primo dopoguerra fu segnato da un’ondata di mobilitazioni sociali che coinvolsero città, fabbriche e campagne, passate alla storia con il nome di “Biennio Rosso”.
Il conflitto nelle campagne fu uno dei più esplosivi. Per motivare i milioni di “fanti contadini” arruolati nell’esercito durante la prima guerra mondiale, fu promessa come ricompensa, in caso di vittoria, la tanto agognata riforma agraria con accesso alla proprietà terriera. Ma dopo la guerra la situazione rimase la stessa. Da nord a sud esplosero le mobilitazioni dei lavoratori della terra. Tra le tante categorie si mobilitarono anche i mezzadri dell’Italia centrale, da sempre una delle tipologie più tranquille di contadini sul piano politico.
Le famiglie mezzadrili si erano progressivamente impoverite a partire dalla fine dell’800. Su di loro la prima guerra mondiale si era abbattuta come una sciagura, portando via uomini necessari ai lavori nei poderi – che in molti casi non fecero mai ritorno – e intensificando il lavoro delle donne e dei bambini. La misura era ormai colma per i mezzadri, vessati da un patto colonico che li legava ai padroni in forme che, se in teoria prevedevano una società, nella pratica si risolvevano in un duro regime di subalternità, economica e culturale, con sopravvivenze dal sapore feudale come i lavori gratuiti e le “regalie” da fare alla famiglia padronale in occasione delle feste.
L’estate del 1919 in Toscana vide una prima ondata di scioperi mezzadrili, guidati dalle leghe bianche cattoliche organizzate in federazioni degli agricoltori che aderivano alla Confederazione Italiana del Lavoro (CIL), il sindacato dei cattolici. Durante le trattative con l’Associazione agraria toscana, che raccoglieva i proprietari delle terre su cui lavoravano i mezzadri, le leghe bianche avanzarono numerose richieste di modifiche dei patti colonici per migliorare la posizione dei mezzadri. Non ottennero però l’accesso del mezzadro alla direzione del podere insieme al concedente, nonostante la natura del contratto di mezzadria la contenesse implicitamente.
Ad ogni modo, se l’Associazione agraria firmò il patto, i proprietari poi si rifiutarono di applicare gli accordi raggiunti nell’agosto del ’19, per cui nei mesi successivi proseguirono le agitazioni, che nel 1920 furono raccolte dalla socialista Federterra, di ispirazione marxista e aderente alla Confederazione Generale del Lavoro (CGdL). Di nuovo, l’estate del 1920 fu segnata dagli scioperi e dalle trattative, che portarono ad un nuovo accordo sempre di agosto, che sulla carta segnava una nuova vittoria dei mezzadri, che ottenevano condizioni migliori anche rispetto all’accordo del 1919, fra cui il diritto a partecipare alla direzione colturale dei poderi su cui vivevano e lavoravano.
Ancora una volta, gli agrari disattesero gli accordi sottoscritti, questa volta con maggior vigore ed iniziando ad organizzare la propria reazione, che prese forma nell’autunno del 1920 per poi dispiegarsi nei primi mesi del 1921. I proprietari individuarono nel fascismo la soluzione contro le agitazioni dei mezzadri, per riaffermare il tradizionale dominio sui “loro contadini. Finanziarono così lo squadrismo fascista, che furono indirizzate ad attaccare le famiglie dei mezzadri: incendi di case, bastonature, purghe, aggressioni, rapimenti, distruzioni dei circoli ricreativi e delle sedi sindacali, intimidazioni. Furono i metodi che i fascisti usarono per terrorizzare i mezzadri e stroncarne le rivendicazioni, ripristinando nel giro di pochi mesi il potere degli agrari.
Per approfondire
Risorse online
Stefano Bartolini, Il movimento mezzadrile nella Toscana del ‘900 (Clionet)
Libri
Stefano Bartolini, La mezzadria nel Novecento. Storia del movimento mezzadrile tra lavoro e organizzazione
Renato Zangheri, Lotte agrarie in Italia: la Federazione nazionale dei lavoratori della terra 1901-1926
Idomeneo Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano. Dalla nascita al fascismo, Vol. I, La Federterra
P. Bevilacqua, Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, Vol. II, Uomini e classi,